Charlie Cambi, come un girasole

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Carlotta “Charlie” Cambi, palleggiatrice, classe 1996. Oggi uno dei più promettenti talenti del nostro volley. Quando e come nasce la tua passione per la pallavolo?  

La mia passione nasce da piccolissima, all’età di 4 anni. Mio papà Leopoldo, mia mamma Maria Grazia e mio fratello Matteo, in quel periodo, giocavano ancora a pallavolo e io la sera attendevo, da mia nonna, il loro ritorno dalla palestra. Una sera mi sono resa conto che non volevo più stare ad aspettarli – la pazienza non è mai stata una mia dote (sorride) – ma che volevo fare volley anch’ io. Allora ho “tirato la gonna” a mia mamma e le ho detto: “mamma voglio tornare anch’ io a casa con il borsone!”.
Mia mamma, senza pensarci due volte, credendo che in una palestra con bambine molto più grandi di me – avevo solo 4 anni – non sarei durata più di una settimana, decise di assecondarmi.
Da quel momento non ho più smesso di fare pallavolo: è stato amore a prima vista.

Esordio con la maglia del Volleyrò Casal de Pazzi, inesauribile fucina di talenti giovanili. Che ricordo hai di quell’ esperienza? Cosa reputi di aver imparato in quei 3 anni romani dal punto di vista sportivo, tecnico e umano?

La chiamata del Volleyrò è arrivata in un momento della mia vita sportiva molto particolare.
Qualche mese prima avevo partecipato al Trofeo delle Regioni accettando di cambiare ruolo. Già perchè io ero ancora un’ attaccante, stavo provando a palleggiare da meno di un anno, ma ancora, dentro di me, non ero convinta al 100%.
Mi ricordo ancora quando l’allenatore della selezione di allora mi disse: “Carlotta, se vuoi avere la possibilità di essere presa, abbandona l’idea di attaccare e buttati sul palleggio.”
La mia confusione era tanta, non mi sentivo all’altezza di affrontare il Trofeo da palleggiatore, ma dentro di me non avevo nemmeno preso in considerazione l’idea di non andarci e quindi, come in tutte le cose, mi sono buttata.
Un tuffo che poi si è rivelato fondamentale perchè, proprio lì, un allenatore del Volleyrò mi ha notata.   Accettare la proposta di trasferirmi a Roma  é stata la scelta più difficile che io abbia mai fatto fino ad adesso: ero ancora piccolina e miei genitori mi hanno messa davanti a tutte le difficoltà che avrei trovato. Sarebbe stato  molto più semplice farmi credere nella favola, ma i genitori devono fare i genitori e quindi mi hanno riportata con i piedi per terra.
Nonostante tutte le raccomandazioni della mia famiglia ho deciso di partire, spinta dal fatto che mi sarei potuta confrontare con un livello di pallavolo molto più alto di quello che avevo vissuto in Toscana.
Non nascondo il fatto che i primi tre mesi romani li ho passati a piangere ed a implorare mia mamma di riportarmi a casa.
La risposta a tutte le mie suppliche è stata sempre e solo una: “hai voluto la biciletta? e ora pedali.”
Potresti pensare che i miei genitori siano stati estremamente insensibili nei miei confronti perchè, dopotutto, ero ancora una bambina. In realtà ciò che hanno fatto è stato fondamentale, anche se l’ho capito dopo.
Non è facile dire alla propria figlia, che piange tutto il giorno, a tutte le ore, “non ti portiamo via“, anzi, è un atto di pura forza, perchè loro, a vedermi così, stavano male almeno quanto me. Sapevano, però, che se me l’avessero data vinta io sarei sempre stata “quella che molla”, “quella che non ce l’ha fatta”, “quella del non sono all’altezza”.
E loro, più di me, credevano nella mia decisione e nel mio sogno.
Ero entrata in crisi per mille motivi: la scuola, il tempo in palestra che si era moltiplicato rispetto a quello che impegnavo in Toscana,  la mancanza della mia famiglia e dei miei amici.
La svolta verso gennaio, quando è arrivata la mia prima convocazione in Nazionale: in quell’istante ho capito che tutti i sacrifici che stavo facendo stavano portando risultati e che la pallavolo era quello che volevo fare con tutta me stessa, non era più un gioco.
Non ho mai smesso di ringraziare i miei genitori per avermi “costretta” a rimanere a Roma.
Il Volleyrò è veramente la mia seconda famiglia, con loro sono diventata una vera atleta, una donna e non più una ragazzina; è stata la svolta della mia vita e non smetterò mai di ringraziarli.
Loro mi hanno insegnato come si sta in palestra, come si lavora e come ci si rialza da una sconfitta, insomma come si diventa un vero campione.

A 21 anni hai già vinto Scudetto, Supercoppa italiana,  Champions. Sei già salita sui podi più importanti in Italia e in Europa. E soprattutto sei stata artefice indiscussa dell’annata strepitosa di Pesaro, con un sesto posto che, a mio parere, vale come uno scudetto. Di questa carriera intensa seppur agli esordi, se dovessi selezionare un paio di istanti, quali sceglieresti per raccontare chi è Carlotta Cambi?

Beh, sicuramente l’istante che sceglierei per raccontare chi sono, in mezzo a tutte le esperienze che ho fatto, o per meglio dire, l’istante che mi ha fatto diventare consapevole di chi sono, è la partita di campionato di ritorno contro Scandicci, nell’anno in cui ero a Novara.
E’ stata la mia prima vera partita da titolare in A1, e la porterò sempre nel cuore.
L’agitazione del momento passò subito in secondo piano, completamente sovrastata dall’euforia di giocare finalmente una partita dall’inizio.
Lì ho capito, nel profondo, quanto realmente mi mancasse giocare  una partita dall’inizio alla fine, con i suoi alti e i suoi bassi.
Mi sono resa conto che forse ero pronta per prendermi delle responsabilità più importanti, ho iniziato a maturare pallavolisticamente.

Andiamo, almeno con il pensiero,  a Pesaro: il tuo arrivederci alla piazza pubblicato sui social come didascalia di una istantanea in cui avevi gli occhi lucidi (per me Stupenda) ha emozionato, non solo i tifosi pesaresi, ma gran parte della gente del volley. Le tue lacrime hanno reso l’umanità di un’atleta che sotto rete sembra “cinica” (rigorosamente fra virgolette) e “spietata”. Com’è davvero Carlotta Cambi atleta e donna? Virtù , immagino moltissime, e difetti… se ne hai! (sorrido)

Sono una vera agonista, non mi piace perdere nemmeno quando gioco a Memory con mia cugina che ha 6 anni! (fragorosa risata).
Credo tantissimo che in campo non vinca mai il più forte, ma chi invece ci crede di più. Questo spiegherebbe il perchè nessuno voglia essere primo nei pronostici, giusto?
Sono molto testarda, ascolto sempre il parere di tutti ma alla fine scelgo sempre di testa mia, non so ancora bene se definirlo un difetto o un pregio, ma fatto sta che è così da sempre.
Alla fine è la caratteristica per cui non ho mai mollato anche davanti a chi mi ha sempre detto che non ho le caratteristiche fisiche giuste per diventare un palleggiatore di alto livello.
Preferisco dimostrarle le cose piuttosto che rispondere ad insinuazioni. Per ora penso di averlo sempre fatto, ma la strada è ancora molto lunga.
Sento anche di definirmi autoironica, estroversa e chiaccherona: nonostante a primo impatto non si direbbe, è difficile che io non dica la mia o che non esponga un mio pensiero.
La prima impressione che do, a detta di tutti, è che io sia un “attimino snob” e molto sulle mie, forse anche un po’ presuntuosa, ma in realtà è tutto il contrario, te lo posso assicurare.
Il difetto più grande che mi attribuisco è quello di essere orgogliosa, tengo a tutto quello che faccio, e se qualcuno me lo critica o mi fa notare qualcosa di sbagliato – magari anche per aiutarmi – tendo ad innervosirmi subito.
Poi mi passa eh, ma in quel momento suggerisco a tutti di starmi lontana (ride ma non troppo).
Penso di aver fatto un bel quadro di me stessa: sono stata tanto autocritica quanto divertente, vero? (sorride)

Facciamo un passo indietro. Riavvolgiamo il nastro ad un anno fa. Sei a Novara, vinci lo scudetto peraltro rispondendo con ottime prestazioni quando sei stata chiamata a giocare titolare. Puoi restare ed indossare la maglia con il tricolore cucito sul petto ma tu scegli l’incognita di una neo promossa. Tantissimo coraggio, che credo sia stato ampiamente ripagato. Cosa ti ha spinto a fare quella scelta? Hai avuto timore potesse essere un rischio scegliere un sestetto che da pronostico (poi sovvertito) avrebbe potuto lottare al massimo per la salvezza?

E’ stata una bella scelta, e se ti dovessi dire qual è stata una delle tante ragioni che mi ha spinto a lasciare una squadra forte come quella di Novara per una scommessa come quella di Pesaro forse mi definiresti un po’ pazza.
Non sai quante persone, vicine a me e non, mi hanno detto: “sei pazza, con Novara puoi vincere tutto, con Pesaro tanto si sa come va a finire, retrocedete.”
Ma io dentro di me pensavo: “voglio dimostrare a tutti che si sbagliano“, che quella di Pesaro è la scelta giusta, perchè ho voglia di prendermi delle responsabilità, di giocare da titolare, e di dimostrare a tutti quelli che la pensano così che non si può dare per spacciata una squadra ancora prima di iniziare un campionato e che non sempre la scelta più facile è quella giusta.
Volevo far capire a tutti che vince chi ha più voglia di vincere, e io ne avevo davvero tanta.
Perciò mi sono buttata, l’ennesima volta. Ero convinta che per la mia crescita sportiva era molto più importante fare un’esperienza difficile come quella di Pesaro, piuttosto che vincere ma avendo un ruolo secondario a Novara.
Poi, ovviamente, le somme si tirano alla fine: era una scommessa e mi sento di averla vinta.
Te l’avevo anticipato che sono testarda (sorride)

 Con la scelta di cambiare casacca, pur di “giocare titolare”, hai anticipato le regole che il CT Davide Mazzanti ha “dettato” pochi giorni fa: chi vorrà in futuro far parte della sua Nazionale dovrà aver giocato da titolare con continuità (e con ottime prestazioni) nel proprio club. Permettimi una battuta: secondo me mentre lo diceva pensava alla tua esperienza a Pesaro! Ironia a parte, e al di là della tua annata pesarese, credi che cambiare per ricercare il posto da titolare presenti più rischi o più opportunità?

E’ chiaro che io mi trovo pienamente d’accordo con la “nuova regola” di Davide. Penso infatti che l’esperienza che ti da il campo non possa essere rimpiazzata da nient’altro.
Cambiare per cercare un posto da titolare credo presenti lo stesso numero di rischi e di opportunità. E poi la pallavolo è uno sport di squadra e la riuscita di una stagione non dipende solo da te ma da tanti fattori.
Credo, però, che bisogna affrontare tutte le cose, decisioni sportive e non, con un grande ottimismo di partenza, mai partire scoraggiati. Mi piace tantissimo una frase di Paulo Coelho che dice: “quando desideri fortemente una cosa, tutto l’Universo brama affinchè tu possa realizzarla”, bhè io ci credo.

Azzurro non è solo il colore dei tuoi occhi, vero? Cosa rappresenta per te la maglia della Nazionale e l’opportunità di poterla indossarla?

La Nazionale per me è un premio, un premio per tutti i sacrifici che ho fatto io, e che ha fatto anche la mia famiglia.
La decisione di andare a giocare a Pesaro l’ho presa anche in funzione della maglia Azzurra, per cercare di farmi notare e  ho voluto mettermi in gioco proprio per provare a conquistare quella convocazione che é arrivata qualche giorno fa.
Non vedo l’ora di iniziare… ci aspetta veramente un’estate piena di impegni e io ne sono entusiata.

Tema libero: io Carlotta Cambi… In 3 righe! Dai è un tema corto!

Un bel tema raccontare chi è Carlotta.
Sicuramente una gradissima sognatrice, lo sono sempre stata  e mai smetterò. Una ragazza che non smetterà mai anche di affrontare le cose con grande positività, che se si mette in testa qualcosa prova con tutte le sue forze a raggiungerlo e che, se non ci dovesse riescire, sarà sicura di averci comunque provato con tutta se stessa. Quasi dimenticavo (sorride)  odio i rimorsi e i rimpianti.
Un consiglio che mi sento di dare a chi mi giudica è quello di non fermarsi mai alle apparenze: fregano sempre.
Ops, queste sono più di 3 righe (sorride divertita)

Ultima domanda: fiore, piatto e canzone che preferisci (in realtà sono 3 domande  ma le ho unite in una!)

I miei fiori preferiti sono i Girasoli: amo l’idea che la loro “vita” – se così possiamo definirla – giri tutta intorno al Sole, perchè è così anche la mia. Come ho detto, amo iniziare tutte le cose con molto ottimismo.  C’è una frase di una canzone che ascolto ogni volta che sento di perdere questa convinzione: “il segreto è fare tutto come se vedessi solo il Sole” (Elisa – Qualcosa che non c’è). Insomma come fanno i miei fiori preferiti, i Girasoli.
Sul piatto diciamo che “sfondi una porta aperta”: amo mangiare, come dice mia mamma sono “un pozzo senza fine” (risata), e trovo difficile scegliere un solo piatto preferito… però devo farlo, quindi dico le lasagne al forno.
La mia canzone preferita invece è “The man who can’t be moved” dei The Script. Penso che esponga un bellissimo tema, che è quello del “saper aspettare senza chiedere niente in cambio”, ma soltanto facendo sapere all’altra persona che “tu sei lì, non ti muovi.”
La mia strofa preferita dice: “Se un giorno ti svegli, e ti accorgi che ti manco,
e il tuo cuore inizia a chiedersi dove potrei mai essere su questa Terra, ho pensato che forse tu potresti tornare qui,  nel posto dove ci siamo incontrati la prima volta. E mi vedrai aspettarti all’angolo della strada.  Non mi muoverò, non mi muoverò.”
Pura poesia per me.

Anche per me.

 

Intervista: Miky Orione

Foto: Guido Leonardi


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