Se fossi un gatto (di Frank Rubuano)

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Gli umani per quanto forti non saranno in auge per sempre. Meglio attendere tranquillamente l’ora dei gatti.
(Io sono un gatto, Natsume Soseki)

Non è un mistero che i giapponesi insieme ai turchi siano fra i popoli che più amano i gatti.
Sono stati loro ad sviluppare in maniera estesa l’invenzione dei Cat Café, o Neko Café, dove oltre a sorseggiare una bevanda calda si può passare il tempo insieme a un accogliente e giocoso felino.
E in Giappone si trova la piccola isola di Aoshima, un autentico paradiso dei gatti, dove vivono e dettano legge circa 120 piccoli felini, accuditi e venerati da appena 22 umani.
Del resto il Sol Levante è la patria di Hello Kitty e del Doraemon e le mascotte dei prossimi giochi olimpici e paralimpici di Tokyo saranno Miraitowa e Someity, due pupazzi con evidenti caratteristiche feline.

E non è un caso che il primo romanzo moderno giapponese sia “Io sono un gatto” di Natsume Soseki, autore reputato così importante nel suo paese da essere stato raffigurato fino al 2004 nelle banconote da mille yen.

Ma forte è il rapporto con i gatti da parte di molte pallavoliste: Ofelia Malinov, Federica Stufi, Marika Bianchini, Giulia Pisani, Giulia Leonardi e Valentina Arrighetti hanno o hanno avuto in passato dei gatti.
E al Palayamamay di Busto Arsizio vive il bellissimo Uyby, che da poco più di un anno si è intrufolato nel palazzetto, trovando l’ambiente ideale per dormire, giocare, osservare palleggi e schiacciate delle sue beniamine, che lo coccolano come il più beato dei bambini.

Ecco, se io fossi un gatto come quello del romanzo di Soseki capace di capire i discorsi degli umani e come Uyby, in grado di comprendere gli schemi della pallavolo, mi intrufolerei nel Yokohama Arena per rubare i segreti della squadra cinese.
Guarderei i loro movimenti facendo finta di seguire la palla come fanno i gatti più sciocchi e terrei tutto bene a mente. Ogni tanto mi darei una leccata ostentando una furba indifferenza e guarderei da un’altra parte mostrando una noia degna del più consumato degli attori.

Poi, quatto quatto come un gatto, uscirei dal Palasport come se volessi cercare un po’ di cibo e salirei i gradoni che portano a un comodo passaggio sopraelevato che conduce dall’altra parte della via senza bisogno di attraversare tratti pericolosi di strada.

Subito dopo, praticamente di fronte, entrerei con discrezione e nobile eleganza nell’atrio del Prince Hotel, dove ci sono tutte le squadre che partecipano alle semifinali e alle finali. Lì c’è sempre un po’ di confusione e nessuno mai si accorgerebbe di un micio! Entrerei dentro un ascensore, nascosto fra le gambe di un compiacente giapponese – loro sono sempre compiacenti con noi gatti – e salirei fino al piano, dunque vediamo, bè ora non ricordo quale, devo controllare!
Uscito dall’ascensore andrei dalla porta della mia giocatrice preferita, si chiama Lia, sembra quasi un bel nome da gatta, e inizierei a battere con le mie regali zampette sulla porta.
Lei mi mi accoglierebbe con il suo dolce sorriso e io le spiattellerei ogni segreto di quelle antipatiche delle cinesi.
Oh, accidenti, devo fare presto!
E’ tardi e Lia sta per andare a dormire!

A domani!

#inJapanwithFrank


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